#RACCONTALATUACITTA’: COSTANTINE, LA MIA CITTA’ LA MIA STORIA

1

Torniamo con una nuova ospite che partecipa a #Raccontalatuacittà con un post davvero particolare. Khadi ci racconta la sua storia, il suo passato, il suo presente e quello che vorrebbe essere il suo futuro. Ci racconta la città che le entrata dentro, fino al cuore o forse ancora di più, e ci racconta il suo desiderio che diventi presto la SUA città. Noi con questo post entriamo nella città di Costantine in Algeria, ma soprattutto entriamo nella sua vita.

Sono nata in Abruzzo, la terra “forte e gentile”, un luogo ospitale che accoglie stranieri, passanti e vagabondi, una regione di cui è facile innamorarsi, per chi va in vacanza e per chi arriva da fuori.

Chi ci abita sogna di andar via, di andare a vivere lontano. Che sia Polinesia o Olanda, che sia New Jersey o Giappone.

Qualcuno ci riesce e resta. Molti vanno e poi ritornano e non capisci se tornano sconfitti o stufi del mondo. Loro non te lo dicono e tu non chiedi.

Forse un giorno anche tu te ne andrai.

E invece resti, mentre il mondo viene da te. Inizi a leggere un libro che viene da lontano (o almeno così si crede) che ti fa piangere come non hai mai pianto e ti cambia per sempre in una sola notte.

Non è un libro come tutti gli altri. E’ un libro che, se ci credi, ti cambia la vita e ti rende straniera, anche se anagraficamente non lo sei.

Volevo mettere la testa per terra cinque volte al giorno, volevo indossare vestiti diversi, volevo un’alimentazione diversa, halal.

E la mia terra forte e gentile, la mia terra ospitale e calda, la terra che mi aveva vista nascere e crescere non mi accettava più, così diversa e “strana”.

Non mi resta che cercare un posto. Il posto in cui non essere più (troppo) straniera, un posto che mi accetti e mi lasci vivere secondo ciò in cui credo e che non mi costringa ad automodellarmi in base a ciò che gli altri vogliono da me. Un luogo che sia davvero mio: la mia città.

Sarà la Francia ad accogliermi, nei monolocali del centro di Nizza, nei sottotetti al sesto piano di rue de L’Italie, nei quartieri ghetto di periferia, in cui all’uscita di scuola i figli degli arabi e dei gitani si fanno la guerra a colpi di pugni in faccia e poi imparano insieme a rubare, sotto lo sguardo di gendarmi compiacenti.

Mi sostiene una famiglia italo-algerina. Quando sto per rimanere per strada mi accoglie, quando finiscono i soldi mi sfama. Imparo a cucinare algerino, a riconoscere gli algerini, ad amare questo popolo fiero e sanguigno, questa terra vasta, aspra e vissuta, questo dialetto che ha una cadenza così simile all’accento della mia terra natìa.

Intanto alla Francia non piaccio. I lavoratori devono essere tutti uguali tra loro, tutti francesi. Nessuno può permettersi di apparire diverso, tu qui non puoi lavorare: hai l’aspetto di una straniera e non puoi esserlo.

In Francia straniera lo sono davvero. Non concepisco una laicità che appiattisce le menti: l’integrazione è cosa ben diversa dall’omologazione e dall’appiattimento e può avvenire solo tra persone che restano ciò che sono mentre interagiscono in ciò che hanno in comune senza rinunciare a ciò che hanno di diverso.

Mi sposo ovviamente un algerino e divento algerina, almeno nel cuore. Mi trasferisco di nuovo in Italia, al Nord, dove per due lunghi anni aspetto di visitare questa terra, di conoscere meglio questo popolo, di scoprire di che colore è il loro cielo.

E scopro una terra verde, una sabbia rossa e un cielo di colori che non so descrivere. Il sole brilla in un modo diverso quaggiù.

La mia città mi aspetta. Non è sul mare, come la sognavo. Mi sta aspettando lì, su due irti speroni collegati da ponti maestosi. Si chiama Constantine o Qasantina e arabisti e latinisti si contendono le origini di questo nome per me così familiare.

E’ una città che fai fatica a camminare e mi stupisce amarla sin da subito, perché sognavo invece spiagge in cui correre. E’ una città meravigliosa, ma a tratti brutta, aggredita da speculazione edilizia, abusivismo recidivo e pianificazione d’assalto.

Ed è un posto in cui si parla la mia lingua, anche se capisco a mala pena il saluto.

Qui il turista forse rimarrà impressionato dall’antico e sapiente mix tra artificio e natura, che rende questo posto unico al mondo. Ma io rimango colpita dai dettagli: da come vecchi e nuovi ponti si integrino con il paesaggio, dal segnale di stop che scritto in arabo diventa ai mei occhi una delle più belle opere d’arte mai viste,

dalla facilità con cui si creano nuovi quartieri abusivi e dalla facilità con cui si distruggono in due giorni, dalla sapienza con la quale i sapori della tradizione si mischiano con le nuove sperimentazioni, dal prezzo del gas, dai quadri dei cosiddetti artisti che parlano una lingua occidentale o ebraica, mentre vengono acclamati come constantinois doc, dal pullulare di università e di studentesse, dalla bellezza e dalla naturalità incontaminata di parchi appena fuori città che nessuno frequenta, dagli arrosticini identici a quelli abruzzesi, dalla sobrietà delle moschee di perferia e dal coro di voci degli anziani che, in assoluta discordanza gli uni dagli altri, intonano 5 volte al giorno una chiamata alla preghiera che forse al passante sembrerà stonata, ma che per me è finalmente viva e piena. Un coro disomogeneo di voci antiche che chiama indistintamente tutti – il ricco e il povero, l’abusivo e il funzionario – per unirsi fianco a fianco nelle fila delle preghiere e per chinare tutti insieme la propria testa, fino a toccare la terra, davanti al solo dio degno di essere adorato, “Colui che ha creato il cieli, la terra e tutto ciò che vi è in mezzo, che non ha generato e non è stato generato e a cui niente assomiglia”.

Ci sono momenti in cui vorrei un blog per raccontarla tutta, la mia Algeria. Per svelarti com’è davvero questo mondo, com’è davvero questa gente, per parlare di tutte quelle cose che i media occidentali non vogliono che tu sappia. Poi però rifletto e mi dico che – se la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sancito che quelli dei musulmani sono diritti a cui si può e si deve rinunciare in nome di un’integrazione finta fatta di appiattimento e omologazione e nessuno dice niente – allora forse conoscere davvero questo mondo non interessa più di tanto e ci si aspetterebbe un blog in cui si tessono le lodi di un luogo spettacolare che può fare a meno della sua storia, della sua gente e del suo credo e invece non è così.

Questo racconto è solo all’inizio e potrebbe continuare all’infinito, ma ci serve qualcuno che abbia voglia di leggerlo, qualcuno che abbia il coraggio di guardare una donna velata negli occhi e considerarla proprio pari, qualcuno che abbia voglia di capire, di sapere la verità, di conoscere questo tipo di diversità e confrontarsi con essa.

Nel frattempo condivido online ricette di autoproduzione e cosmesi fai da te e riflessioni sul bio e sul minimal style, perché anche se ho scelto di cambiare occhi e diventare “diversa”, mi spalmo le creme, mangio, dormo e sto meditando di andare a vivere in Algeria, non su Marte : )

khadi

www.sonobio.com

Articolo precedenteAngiolina cammina cammina – Scena sesta
Articolo successivoA volte basta un volo…
Calabrese di nascita, emiliana di adozione. Se si potessero studiare i miei geni si troverebbe qualcosa di legato ai viaggi. Per anni viaggiare era un modo per evadere da una vita che mi stava stretta: "a chi mi domanda la ragione dei miei viaggi rispondo che so bene quel che fuggo ma non quel che cerco." Adesso viaggio perché ho un continuo bisogno di scoprire, esplorare, conoscere, assaggiare. Amo viaggiare e scrivere, e poi di nuovo viaggiare e scrivere, senza sosta. Benvenuti nel mio piccolo mondo di viaggi, esperienza e vita!

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.